DOCUMENTI SUI FAMIGLIARI DI GESU' GENITORI E PARENTI

mercoledì 9 gennaio 2008

SAN GIUSEPPE SPOSO DELLA B.V.MARIA


San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria

19 marzo (nel 2008: 15 marzo)


Questa celebrazione ha profonde radici bibliche; Giuseppe è l'ultimo patriarca che riceve le comunicazioni del Signore attraverso l'umile via dei sogni. Come l'antico Giuseppe, è l'uomo giusto e fedele (Mt 1,19) che Dio ha posto a custode della sua casa. Egli collega Gesù, re messianico, alla discendenza di Davide. Sposo di Maria e padre putativo, guida la Sacra Famiglia nella fuga e nel ritorno dall'Egitto, rifacendo il cammino dell'Esodo. Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale e Giovanni XXIII ha inserito il suo nome nel Canone romano. (Mess. Rom.)

Patronato: Padri, Carpentieri, Lavoratori, Moribondi, Economi, Procuratori Legali


Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico


Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Solennità di san Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia.



Sotto la sua protezione si sono posti Ordini e Congregazioni religiose, associazioni e pie unioni, sacerdoti e laici, dotti e ignoranti. Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, di recente fatto Beato, nel salire al soglio pontificio aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta era la devozione che lo legava al santo falegname di Nazareth. Nessun pontefice aveva mai scelto questo nome, che in verità non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il “papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo. Grande, eppure ancor oggi piuttosto sconosciuto. Il nascondimento, nel corso della sua intera vita come dopo la sua morte, sembra quasi essere la “cifra”, il segno distintivo di san Giuseppe. Come giustamente ha osservato Vittorio Messori, “lo starsene celato ed emergere solo pian piano con il tempo sembra far parte dello straordinario ruolo che gli è stato attribuito nella storia della salvezza”. Il Nuovo Testamento non attribuisce a san Giuseppe neppure una parola. Quando comincia la vita pubblica di Gesù, egli è probabilmente già scomparso (alle nozze di Cana, infatti, non è menzionato), ma noi non sappiamo né dove nè quando sia morto; non conosciamo la sua tomba, mentre ci è nota quella di Abramo che è più vecchia di secoli. Il Vangelo gli conferisce l’appellativo di Giusto. Nel linguaggio biblico è detto “giusto” chi ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe discende dalla casa di David, di lui sappiamo che era un artigiano che lavorava il legno. Non era affatto vecchio, come la tradizione agiografica e certa iconografia ce lo presentano, secondo il cliché del “buon vecchio Giuseppe” che prese in sposa la Vergine di Nazareth per fare da padre putativo al Figlio di Dio. Al contrario, egli era un uomo nel fiore degli anni, dal cuore generoso e ricco di fede, indubbiamente innamorato di Maria. Con lei si fidanzò secondo gli usi e i costumi del suo tempo. Il fidanzamento per gli ebrei equivaleva al matrimonio, durava un anno e non dava luogo a coabitazione né a vita coniugale tra i due; alla fine si teneva la festa durante la quale s’introduceva la fidanzata in casa del fidanzato ed iniziava così la vita coniugale. Se nel frattempo veniva concepito un figlio, lo sposo copriva del suo nome il neonato; se la sposa era ritenuta colpevole di infedeltà poteva essere denunciata al tribunale locale. La procedura da rispettare era a dir poco infamante: la morte all’adultera era comminata mediante la lapidazione. Ora appunto nel Vangelo di Matteo leggiamo che “Maria, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo, prima di essere venuti ad abitare insieme. Giuseppe, suo sposo, che era un uomo giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla in segreto”(Mt 18-19). Mentre era ancora incerto sul da farsi, ecco l’Angelo del Signore a rassicurarlo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Giuseppe può accettare o no il progetto di Dio. In ogni vocazione che si rispetti, al mistero della chiamata fa sempre da contrappunto l’esercizio della libertà, giacché il Signore non violenta mai l’intimità delle sue creature né mai interferisce sul loro libero arbitrio. Giuseppe allora può accettare o no. Per amore di Maria accetta, nelle Scritture leggiamo che “fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e prese sua moglie con sé”(Mt 1, 24). Egli ubbidì prontamente all’Angelo e in questo modo disse il suo sì all’opera della Redenzione. Perciò quando noi guardiamo al sì di Maria dobbiamo anche pensare al sì di Giuseppe al progetto di Dio. Forzando ogni prudenza terrena, e andando al di là delle convenzioni sociali e dei costumi del suo tempo, egli seppe far vincere l’amore, mostrandosi accogliente verso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Nella schiera dei suoi fedeli il primo in ordine di tempo oltre che di grandezza è lui: san Giuseppe è senz’ombra di dubbio il primo devoto di Maria. Una volta conosciuta la sua missione, si consacrò a lei con tutte le sue forze. Fu sposo, custode, discepolo, guida e sostegno: tutto di Maria. (…) Quello di Maria e Giuseppe fu un vero matrimonio? E’ la domanda che affiora più frequentemente sulle labbra sia di dotti che di semplici fedeli. Sappiamo che la loro fu una convivenza matrimoniale vissuta nella verginità (cfr. Mt 1, 18-25), ossia un matrimonio verginale, ma un matrimonio comunque vissuto nella comunione più piena e più vera: “una comunione di vita al di là dell’eros, una sponsalità implicante un amore profondo ma non orientato al sesso e alla generazione” (S. De Fiores). Se Maria vive di fede, Giuseppe non le è da meno. Se Maria è modello di umiltà, in questa umiltà si specchia anche quella del suo sposo. Maria amava il silenzio, Giuseppe anche: tra loro due esisteva, né poteva essere diversamente, una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali. “La coppia di Maria e Giuseppe costituisce il vertice – ha detto Giovanni Paolo II –, dal quale la santità si espande su tutta la terra” (Redemptoris Custos, n. 7). La coniugalità di Maria e Giuseppe, in cui è adombrata la prima “chiesa domestica” della storia, anticipa per così dire la condizione finale del Regno (cfr. Lc 20, 34-36 ; Mt 22, 30), divenendo in questo modo, già sulla terra, prefigurazione del Paradiso, dove Dio sarà tutto in tutti, e dove solo l’eterno esisterà, solo la dimensione verticale dell’esistenza, mentre l’umano sarà trasfigurato e assorbito nel divino. “Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva S. Teresa d’Avila. “Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare...”( cfr. cap. VI dell’Autobiografia). Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo. Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a san Giuseppe. Patrono universale della Chiesa per volere di Papa Pio IX, è conosciuto anche come patrono dei lavoratori nonché dei moribondi e delle anime purganti, ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità, sovviene a tutte le richieste. Giovanni Paolo II ha confessato di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, in suo onore nel 1989 scrisse l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, aggiungendo il proprio nome a una lunga lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, S. Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI.


Autore: Maria Di Lorenzo


http://www.santiebeati.it/dettaglio/20200

LA PERPETUA VERGINITA' DI MARIA-RADIO MARIA

tratto da una trasmissione dell'apologeta Giampaolo Barra tenuta su Radio Maria

Affrontiamo un altro argomento utilizzato dai contestatori della dottrina cattolica per negare una verità di fede: la perpetua verginità di Maria.

Che cosa insegna la nostra fede su questo punto? Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al punto n. 501, dice testualmente: “Gesù è l’unico Figlio di Maria”. Dunque, stando alla dottrina cattolica così ben sintetizzata nel Catechismo, Gesù no ha avuto fratelli e sorelle e questo corrisponde perfettamente, e doverosamente, al dogma della perpetua verginità di Maria.

Questa verità di fede cattolica non è condivisa, anzi è contestata dai Protestanti e dai Testimoni di Geova. Come è possibile –questo è il succo della contestazione – credere nella perpetua verginità di Maria se il Vangelo parla esplicitamente dei fratelli di Gesù?

In effetti, se stiamo bene attenti, è vero che i Vangeli parlano dei fratelli di Gesù.

(Se volete approfondire l'argomento potete guardare "I fratelli e le sorelle di Gesù")

Sentiamo san Matteo: “non è Egli (Gesù) forse il figlio del carpentiere? Sua Madre non si chiama Maria? E i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra noi?” (13,55-56)

Il Vangelo di Matteo, come abbiamo potuto ascoltare, non solo parla dei fratelli di Gesù, ma ci fornisce anche i loro nomi: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda.

Sentiamo san Marco: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses (Giuseppe), di Giuda e di Simone?" (6,3). Anche san Marco concorda con san Matteo nel dire che Gesù aveva dei fratelli e ci fornisce i loro nomi.

Anche nel Vangelo di san Luca si parla di fratelli del Signore: “Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non poterono avvicinarlo a causa della folla” (8,19)

E, infine, il quarto Vangelo, quello di san Giovanni: “Dopo questo fatto discese (Gesù) a Cafarnao insieme con sua Madre, i fratelli e i discepoli” (2,12).

E, non solo i Vangeli, ma anche nel libro degli Atti degli apostoli troviamo un accenno ai fratelli di Gesù: “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui” (1,14).

Ora, questa insistenza della Parola di Dio sui “fratelli” di Gesù sembra mettere noi cattolici spalle al muro e sembra dare man forte alle contestazioni di Protestanti e Testimoni di Geova. Torna alla mente la solita domanda, cavallo di battaglia di tutte le contestazioni: se i Vangeli parlano dei “fratelli” di Gesù, come possiamo noi cattolici credere al dogma della perpetua verginità di Maria?

Badate bene che la questione sollevata da questa domanda è delicatissima e implica conseguenze addirittura mortali per la fede cattolica. Infatti, se la perpetua verginità di Maria, che è verità dogmatica, non ha fondamento biblico, allora vuol dire che la Chiesa ha sbagliato, ha annunciato una “presunta verità”; ma questo comporta il dover ammettere che la Chiesa può insegnare l’errore, non è infallibile. Capite bene che, di questo passo, si corre il rischio di minare irrimediabilmente la credibilità della Chiesa cattolica e della fede cattolica.

Prima di disarmare, noi cattolici dobbiamo almeno tentare di far fronte e rispondere a queste osservazioni, anzi: a queste vere e proprie contestazioni. E come è nostra abitudine, vogliamo approfondire bene il discorso e vedremo – al termine di questa conversazione – che noi cattolici possiamo tranquillamente, e con piena ragione, continuare a credere nella perpetua verginità di Maria, con buona pace di tutti i contestatori di ieri e di oggi.

Veniamo subito alla prima osservazione. Leggendo il Vangelo, non ci deve sfuggire un particolare estremamente significativo. Avete notato che nel Vangelo si parla sempre ed esclusivamente di “fratelli” di Gesù, ma che questi fratelli di Gesù non sono mai chiamati “figli di Maria” ?

Badate bene: soltanto Gesù viene chiamato “figlio di Maria”, i suoi fratelli no. E anche Maria è sempre chiamata la “Madre di Gesù” e mai viene detta madre dei suoi fratelli.

Non è un particolare di poco conto. Se stiamo attenti al modo con il quale san Luca racconta, negli Atti degli Apostoli, il brano che abbiamo letto prima, possiamo fare una osservazione interessante. San Luca scrive: “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera , insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui” (1,14).

A noi sorge spontanea una considerazione: se quei fratelli di Gesù fossero stati veramente figli della Madonna, san Luca avrebbe dovuto scrivere, molto più correttamente: “C’era Maria, Madre di Gesù con gli altri suoi figli”. Invece no: san Luca non dice, non vuole dire che Maria è anche la madre dei “fratelli “ di Gesù.

Naturalmente, questo è solo un primo indizio, un particolare certamente interessante, che non deve sfuggire a chi sa leggere bene la Bibbia: ma si tratta di un indizio che ci introduce ad una riflessione più profonda.

Proseguiamo. Come abbiamo ascoltato, i Vangeli ci hanno conservato i nomi dei fratelli di Gesù: Giacomo, Giuseppe (Joses) , Giuda (non il traditore) e Simone.

Non solo: i Vangeli sono così ricchi di informazioni che ci dicono anche chi era la loro madre e ci fanno sapere che la madre dei “fratelli” di Gesù si chiamava anch’essa Maria, ma non era la Madonna. Era un’altra Maria.

Ascoltiamo con attenzione il Vangelo di san Matteo nel capitolo che racconta i fatti del Venerdì santo. Siamo sul monte Calvario, subito dopo la morte di Gesù in Croce. Scrive san Matteo: “C’erano là molte donne che osservavano da lontano: quelle stesse che dalla Galilea avevano seguito Gesù per servirlo. Tra esse, c’era Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo” (27,55.56)

Attenti bene: per san Matteo, in quel tragico Venerdì santo, c’era sul Calvario una donna di nome Maria che era madre di Giacomo e Giuseppe, cioè era la madre di due dei “fratelli” di Gesù. Domandiamoci: questa Maria era forse la Madonna? Rispondiamo con sicurezza: no, non era la Madonna. Era la madre di due dei “fratelli” di Gesù, ma non era la Madonna.

Da dove nasce questa sicurezza? Nasce dal fatto che solo qualche versetto più avanti, proprio per distinguerla dalla Madonna, san Matteo la chiama per ben due volte “l’altra Maria”.

E ci dice che questa “altra Maria”, insieme a Maria di Magdala, assistette alla sepoltura di Gesù (27,61) e poi, il giorno dopo il sabato, sempre insieme a Maria di Magdala, andò al sepolcro (28,1) e ascoltò quelle famose parole dall’angelo: “So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto”.

Come vedete, la verità cattolica comincia ad avere fondamenti biblici e, parallelamente, le contestazioni, che ci sembravano a prima vista così sicure, cominciano a scricchiolare. Ora, diamo un colpetto e le facciamo scricchiolare e cascare del tutto.

Siamo propri sicuri che “l’altra Maria”, di cui parla san Matteo, non sia la Madonna ma proprio la madre di Giacomo e Giuseppe, cioè di due “fratelli” di Gesù?

Si, siamo sicuri perché lo afferma esplicitamente San Marco nel suo Vangelo. San Marco prima conferma quello che ha detto san Matteo: “C’erano là alcune donne che osservavano da distanza, tra le altre: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, e Salome, le quali lo seguivano e lo servivano, etc etc.” (15,40-41).

Poi – e la cosa ci interessa particolarmente – san Marco ci spiega che “l’altra Maria” che andò al sepolcro non era la Madonna ma era la madre dei “fratelli” di Gesù. Sentiamolo: “Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome, comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù”; (Mc 16,1) quindi conferma l’episodio dell’incontro con l’angelo al sepolcro.

Dunque Marco dice chiaramente che quella donna che andò al sepolcro con la Maddalena e che Matteo chiama “l’altra Maria” era proprio Maria madre di Giacomo, di uno dei fratelli di Gesù.

Le nostre informazioni, leggendo bene i Vangeli, si stanno arricchendo e ci dicono che almeno due dei “fratelli” di Gesù, Giacomo e Giuseppe, non hanno la stessa Madre di Gesù. Il vangelo li chiama “fratelli” di Gesù ma non hanno la stessa Madre. Possiamo lecitamente pensare la stessa cosa anche per gli altri due.

Proseguiamo. Giovanni ci offre qualche altro particolare interessante per identificare bene quella donna che Matteo chiama “l’altra Maria”. Scrive: “Presso la croce di Gesù stavano sua Madre e la sorella di lei, Maria di Cleofa, e Maria di Magdala” (Gv. 19,25)

Per san Giovanni, ai piedi della croce di Gesù stavano, insieme ad altre persone, almeno tre donne che portavano lo stesso nome Maria: una era la Madonna, un’altra era Maria di Cleofa (che cosa vuol dire “di Cleofa” ? vuol dire che era o moglie o figlia di Cleofa) e poi c’era la Maddalena.

San Giovanni ci fa sapere che quella donna che san Matteo chiama “l’altra Maria”, che san Marco dice essere la madre di Giacomo, era Maria di Cleofa.

San Matteo e san Marco ci dicono che quest’altra Maria, Maria di Cleofa, era la madre di Giacomo e Giuseppe.

Attenti bene, perché abbiamo un’altra informazione da aggiungere a quelle che sono già in nostro possesso. Questo Giacomo, nell’elenco degli Apostoli è sempre chiamato figlio di Alfeo.

Sommando tutte queste informazioni, ci risulta, da un’attenta lettura del Vangelo, che almeno due dei “fratelli” del Signore, Giacomo e Giuseppe, avevano per madre una donna di nome Maria, che non era la Madonna, e per padre un uomo di nome Alfeo. Avevano dunque genitori diversi da quelli di Gesù; eppure sono chiamati “fratelli” di Gesù.

A questo punto, sembra esser giunto il momento di domandarci: perché sono chiamati “fratelli” di Gesù?

La risposta è piuttosto semplice. Dobbiamo ricordare che nella lingua ebraica il termine “fratello” aveva un significato più ampio di quello che gli attribuiamo oggi; poteva indicare, infatti, anche cugino, nipote, parente molto vicino.

La parola “fratello” nella Bibbia non indica sempre e soltanto “fratello di sangue”, ma anche cugino, parente prossimo.

Abbiamo le prove di quello che stiamo dicendo. Nel libro del Genesi, per esempio, si parla di Lot e ci viene detto che Lot era “fratello di Abramo”. E’ lo stesso Abramo che chiama Lot suo “fratello”. Sentiamo: “Abramo disse a Lot: non ci sia discordia tra me e te, tra i miei pastori e i tuoi, perché noi siamo fratelli.” (Gn. 13,8)

Dunque, Lot è “fratello” di Abramo. però, lo stesso libro del Genesi ci dice anche che Lot era figlio del fratello di Abramo, che si chiamava Haran (Gn 11, 27). Dunque Abramo chiama “fratello” Lot, ma questi in realtà era suo nipote.

Nella Bibbia c’è un altro esempio, ancora più chiaro e ci è raccontato nel Primo Libro delle Cronache. Qui ci viene detto che Eleazaro e Kish erano entrambi figli di Macli, dunque erano fratelli carnali. Poi si aggiunge: “Eleazaro morì senza figli; ebbe solo figlie. I figli di Kish, loro fratelli, le sposarono” (1 Cr. 23,21-23)

Come si vede, la Bibbia chiama i figli di Kish “fratelli” delle figlie di Eleazaro, che poi sposarono, ma in realtà erano cugini di queste ragazze.

Questo si spiega solo se ricordiamo che in ebraico “fratello” può voler dire anche cugino, nipote o parente in generale.

Dunque, visto che i Vangeli ci parlano dei “fratelli” di Gesù, considerato che ci danno i nomi dei fratelli di Gesù, osservato che ci dicono anche il nome della loro madre, che non era la Madonna, e perfino del loro padre, che non era Giuseppe, possiamo concludere che le contestazioni al dogma della perpetua verginità di Maria, basate sulla parola “fratello”, non hanno fondamento biblico.

E con questo, noi cattolici possiamo star tranquilli. Ci vuol bene latro per minare la credibilità della nostra fede.

Risolto questo problema, veniamo ad osservare come, interpretando malamente la Bibbia, Protestanti e Testimoni di Geova accampano altre scuse per negare la perpetua verginità di Maria.

San Matteo scrive che Giuseppe non conobbe Maria, nel senso biblico del termine, cioè non ebbe relazioni coniugali con Lei, finchè non partorì Gesù (Mt 1,25). E leggendo malamente san Matteo, Testimoni di Geova e Protestanti sostengono che, se Matteo parla in questo modo, ciò vuol dire che “dopo” il parto di Gesù, Maria e Giuseppe vissero come tutti gli sposi. Lo dimostrerebbe quel “finché”.

Come rispondiamo noi cattolici a questa osservazione?

In primo luogo: San Matteo non ci dice che cosa avvenne dopo il parto di Gesù, ma si limita a dire che Maria era vergine al momento del concepimento e al momento del parto. Matteo vuol parlare unicamente del concepimento e del parto verginale di Gesù, non di altro.

Tanto è vero che – lo abbiamo visto – quando Matteo ci dice i nomi dei fratelli di Gesù, ci dice anche la loro madre non era la Madonna.

In secondo luogo: il “finchè”, nell’uso della Bibbia, nega un’azione per il tempo passato, ma non implica che questa azione sia stata compiuta in seguito.

Facciamo due esempi. Il primo: nel Salmo 110, Dio invita il Messia alla sua destra “finché” pone i nemici a sgabello dei suoi piedi. Questo “finché” non significa che dopo il Messia non starà più alla destra di Dio.

Il secondo esempio: alla fine del capitolo 28 del Vangelo di San Matteo, Gesù affida alla Chiesa la missione di evangelizzare tutto il mondo e conclude con queste parole: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.

Questo “fino alla fine del mondo”, questo “finchè il mondo esiste” non implica che dopo Gesù sarà più con i suoi discepoli. Dice soltanto che sarà sempre con loro nell’opera di evangelizzazione.

Come vedete, cari amici, anche a questa obiezione si può rispondere esaurientemente. Anche in questo caso, possiamo dire che ci vuole ben altro per minare la verità evangelica e dogmatica della perpetua verginità di Maria.

Esaminiamo ora brevemente un’altra contestazione della perpetua verginità di Maria. Contestazione che può essere formulata in questo modo: siccome Gesù è chiamato “Figlio primogenito”, questo vuol dire che, dopo di Lui, ci fu un figlio secondogenito, un terzo, un quarto etc. Quindi la Madonna non sarebbe stata sempre vergine, ma ebbe altri figli.

Come rispondiamo noi cattolici? Cominciamo col dire che nelle culture di tutti i popoli “primogenito” vuol dire “primo nato”. E vuol dire “primo nato” sia che dopo di lui ci siano stati altri, sia che fosse figlio unico.

Inoltre, dobbiamo sapere che presso gli ebrei, il primo nato era sempre chiamato “primogenito”, anche se dopo di lui non arrivavano fratelli e sorelle.

Qui la storia ci dà una bella mano. Recentemente è stata scoperta, in un cimitero ebraico, una iscrizione che risale proprio all’epoca appena precedente la nascita di Gesù. In questa iscrizione si legge di una madre, di nome Arsinoe, morta dopo avere dato alla luce il suo primo figlio. Ecco che cosa leggiamo testualmente: “Nei dolori del parto del mio primogenito la sorte mi condusse al termine della vita”.

Come si può facilmente capire, quel bambino non ebbe altri fratelli, visto che la mamma era morta proprio mentre lo partoriva. Eppure quel bambino è chiamato “primogenito” . Questo dimostra che nella cultura ebraica del tempo di Gesù la qualifica di primogenito non implica necessariamente che vi siano altri fratelli.

La contestazione alla perpetua verginità di Maria basata sull’uso del termine “primogenito” è così smontata.

Bene. Molte altre cose ci sarebbero da dire. A noi può bastare, per adesso, la consolazione che la dottrina cattolica sulla perpetua verginità di Maria ha solidissime basi bibliche e non è certamente scalfita dalle critiche.

Ma, proprio perché siamo cattolici, vogliamo concludere questa conversazione affidando a Maria, la Madre di Gesù, vero Dio e vero uomo, non solo noi stessi, ma specialmente coloro che, magari in buona fede, magari perché sono sprovveduti o forse perché non conoscono la Parola di Dio, contestano la venerazione di Maria.

Chiediamo Maria che predisponga la loro mente a conoscere la verità sulla Madre di Dio e il loro cuore ad aprirsi all’amore veramente materno della nostra Mamma che è nei Cieli.

LA VERGINITA' PERPETUA DI MARIA


http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=523

Come la Chiesa sia pervenuta a credere nella verginità di Maria durante il parto e dopo

Quesito

Caro Padre Angelo,
Potrebbe spiegarmi come la Chiesa è pervenuta a ritenere come verità di fede la perpetua (anche durante e dopo il parto) verginità della Madonna?
Quali Padri della Chiesa l’hanno configurata e con quali argomentazioni?
Su di essi ha forse influito il protovangelo apocrifo di Giacomo dove è descritta la nascita di Gesù e l’accertamento della verginità della Madonna anche dopo il parto?
Nell’imminenza della Festa del Cristo Risorto, Le porgo il mio cordiale saluto.
Alessandro


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Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. La dottrina sulla perenne verginità di Maria si è sviluppata a partire dal fatto che Maria è Madre di Dio. Ha concepito il Figlio di Dio secondo la carne per opera dello Spirito Santo.
I dati del vangelo di Matteo e di Luca su questo punto sono espliciti.
Prima ancora dell’incarnazione del Verbo, Maria aveva espresso il proposito di rimanere vergine: come è possibile questo dal momento che non conosco uomo?
Ma tu mi chiedi come si sia sviluppato il pensiero sulla verginità durante il parto e dopo il parto.

2. Per la verginità durante il parto
Nella S. Scrittura non vi sono affermazioni esplicite. Vi sono tuttavia diverse allusioni molto significative.
1. La prima è offerta da Is 7,14: “La vergine concepirà e partorirà”, ripreso da Mt 1,23. È vergine sia colei che concepisce che colei che partorisce.
2. Una seconda è data da Lc 2,7: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”. L’insistenza su Maria che ha fatto tutto da sola è un indizio molto significativo che il suo parto non fu doloroso, ma miracoloso. Questa è l’interpretazione di molti Santi Padri e teologi antichi e moderni.
3. I. De la Potterie fa riferimento anche a Gv 1,13 con versione al singolare, come scrivono molti codici antichi, dove si afferma che Gesù è stato generato “non dai sangui (ouk ex aimatwn),ma da Dio” (Gv 1,13).
I sangui sono le perdite di sangue cui va normalmente soggetta la donna quando partorisce. Queste, secondo la mentalità biblica, rendevano impura la donna.
Allora Gesù è nato senza effusione di sangue. Ciò significa che Maria diede alla luce il Verbo incarnato con parto indolore, non accompagnato da spargimento di sangue.
La stessa convinzione è documentata dalla tradizione della chiesa in maniera impressionante, sia in oriente che in occidente. Già dal sec. II si hanno le testimonianze del Protovangelo di Giacomo (cap. 19-20), dell’Ascensione di Isaia (XI,7-14), delle Odi di Salomone (19,6-10) e di Ireneo (Adversus Haereses IV,33.11).

3. Sono molto forti anche le testimonianze della tradizione
Cirillo di Gerusalemme, Ambrogio, l’Ambrosiaster, Gregorio Magno, Ildefonso di Toledo, Beda, Aimone di Halberstadt, la Glossa ordinaria... definiscono la nascita di Gesù come santa, cioè pura, incontaminata, incorrotta, monda, immacolata.
In altre parole, il parto di Gesù avvenne senza quella perdita di sangue che causava l’impurità rituale in ogni partoriente, a norma della tradizione veterotestamentaria.
È interessante ricordare, poi, che secondo il pensiero giudaico, uno dei fenomeni che avrebbero contrassegnato l’era del messia sarebbe stato appunto quello del parto immune da sofferenze fisiche. Una delle testimonianze più significative ci viene dall’Apocalisse di Baruc, contemporanea agli scritti giovannei (fine I sec. - inizio II sec.). In essa si legge che quando il Messia avrà assoggettato il mondo intero e regnerà per sempre in pace, “le donne non soffriranno più durante la gravidanza e sparirà l’affanno quando dovranno dare alla luce il frutto del loro seno”(73,1.7).
La perenne verginità di Maria è simboleggiata dalla triplice stella di cui sono ornate tante immagini mariane, soprattutto dell’oriente.

4. La verginità dopo il parto
La Scrittura tace su questo terzo aspetto della verginità di Maria: non l’afferma e non lo nega.

- In proposito non si può negare che alcuni testi sembrano portare in latra direzione, come ad esempio quello relativo ai fratelli di Gesù.
Nei vangeli e negli Atti sono menzionati più volte, in forma generica, i fratelli di Gesù, oppure le sorelle di lui.
Due passi (Mc 6,3 e Mt 13,55) riferiscono i nomi di quattro fratelli: Giacomo, Josès (Mc) o Giuseppe (Mt), Simone e Giuda. Chi sono?
Il magistero della chiesa vede in essi dei parenti di Gesù in senso largo (ad es., dei cugini).
Le prove che sostengono simile identificazione sono le seguenti.
- Se alcuni autori del NT parlano di fratelli e sorelle di Gesù, mai però li presentano come “figli di Maria”. Della Vergine si dice solo che è “madre di Gesù”.
- Inoltre è universalmente noto che nei testi semitici o di influenza semitica l’accezione dei termini ‘fratello’ o ‘sorella’ è assai più larga che nelle nostre lingue moderne perché indica anche gradi di parentela più lontana.
- In particolare, poiché l’ebraico e l’aramaico non avevano un termine specifico per dire “cugino, nipote, cognato”, non di rado si ricorreva alla parola ‘fratello’, oppure si ricorreva all’uso di circonlocuzioni prolisse e complicate, quali “figlio del fratello del padre”.
- Giacomo e Joses (i primi due “fratelli di Gesù” nominati in Mc 6,3 e Mt 13,55) erano figli di una Maria, diversa dalla madre di Gesù. Lo attesta Mc 15,40: “C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salome...”.
Più avanti questa Maria è chiamata “Maria (madre) di Giacomo” (16,1). Mt 27,56 la ricorda ugualmente come “madre di Giacomo e di Josès”, e poi come “l’altra Maria” (27,61; 28,1). Lc 24,10 fa menzione di “Maria, quella di Giacomo” (verosimilmente la stessa persona).
- In Gv 19,25ss Gesù agonizzante affida Maria al suo discepolo prediletto, Giovanni. Questo è stato considerato dai padri come una constatazione sensibile del fatto che Maria non ebbe alcun altro figlio, perché in tal caso sarebbe stato strano che l’avesse affidata ad un estraneo.

5. Vi è poi il passo di Mt 1,25 che suona letteralmente così: “Ed egli (Giuseppe) non la conosceva, finché non diede alla luce un figlio”. Verrebbe da concludere che dopo la nascita di Gesù Giuseppe abbia consumato il matrimonio con Maria, la quale avrebbe quindi avuto altra prole.
Già i padri della Chiesa ricordavano che nella bibbia si usano spesso simili espressioni, che non possono essere interpretate alla lettera.
Ad esempio in Gen 28,15 Dio dice a Giacobbe: “Non ti abbandonerò, finché non avrò compiuto tutto quello che t’ho detto”. Va da sé che Dio proteggerà Giacobbe anche dopo il compimento della promessa.
Così pure in 2 Sam 6,23: “Mikal, figlia di Saul, non ebbe figli finché non morì”. Sarebbe ridicolo credere che, da morta, Mikal avesse avuto dei figli.
Così in Sal 110,1: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Ma il re cui è diretto questo oracolo divino, siederà alla destra di Dio anche dopo la vittoria sui nemici.
Anche in Mt 28,20: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. Ma anche dopo Cristo sarà con i suoi; anzi, in misura maggiore di prima, poiché il regno si realizzerà in pienezza.
Analogamente, il ‘finché’ di Mt 1,25 non comporta che Giuseppe avesse rapporti carnali con Maria dopo la nascita di Gesù. L’intento dell’evangelista è quello di dimostrare che Gesù è figlio di Davide (Mt1,1), nonostante non abbia padre umano (Mt 1,18-25). È invece fuori dalla sua visuale la questione della verginità di Maria dopo il parto. Matteo non offre argomenti né pro né contro.

6. Vi è infine il passo di Lc 2,7: “Diede alla luce il suo figlio primogenito”. Alcuni ragionano così: se Gesù è il primogenito di Maria, vuol dire che non era l’unico di lei.
A dire il vero, dalla letteratura ebraica conosciamo vari esempi in cui un figlio primogenito è anche unigenito. Si veda il parallelismo di Zc 12,10: “Ne faranno il lutto come si fa lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito”.
Nelle Antichità bibliche dello pseudo-Filone (sec. I d.C.) la figlia di Jefte è chiamata sia primogenita che unigenita (39,11).
E un epitaffio sepolcrale, datato al 28 gennaio del 5 a. C., scoperto nel 1922 nella necropoli giudaica di Tell el Yehudieh, fa dire alla defunta Arsinoe: “Ma la sorte, nei dolori del parto del mio figlio primogenito, mi condusse al termine della vita”. Sebbene questa giovane mamma morisse al primo parto, il suo figlio è detto ugualmente ‘primogenito’.
Inoltre secondo la bibbia, il primo figlio, anche se unico, è qualificato come primogenito perché soggetto all’obbligo del riscatto (Es 13,2.12; Nm 18,15-16). Pertanto anche Gesù, essendo il primogenito di sua madre (Lc 2,7), verrà presentato al tempio per questo rito (Lc 2,22-24).

7. La tradizione della Chiesa è unanime anche su questo punto
Ignazio di Antiochia († c. 110) dice che Gesù Cristo è “nato veramente da una vergine”. “Il nostro Dio Gesù Cristo fu portato in seno da Maria secondo l’economia di Dio... E rimase occulta al principe di questo secolo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre clamorosi misteri, che furono compiuti nel silenzio di Dio”.
Giustino († c. 165), che difende la divinità di Cristo di fronte ai giudei e ai pagani, afferma il carattere unico del concepimento di Gesù: “Nessuno mai, all’infuori del nostro Cristo, è stato generato da vergine”. Per lui Maria è la Vergine (Dialogo con Trifone, 43,7).
Origene († 254) è favorevole alla perpetua verginità di Maria, ritenendo “ben fondata” la difesa della “dignità di Maria, che consiste nell’essersi conservata in verginità fino alla fine, affinché quel corpo destinato a servire alla parola ... non conoscesse alcun rapporto sessuale con un uomo, dal momento che era sceso su di lei lo Spirito Santo” (In Mt comm. X, 17).
Epifanio († 403) dice che la perpetua verginità di Maria è convinzione universale di fede: “Quando mai e in quale epoca uno ha osato pronunciare il nome di Maria senza subito aggiungervi, se interrogato, la Vergine?”(Adversus haereses, 1,3).
Egli afferma che il parto di Maria è avvenuto senza dolori e chiama per ben 16 volte Maria “Vergine perpetua”.
Ambrogio (†397) parla di “uterus clausus, per cui Maria è la porta buona che era chiusa e non si apriva. Cristo vi è passato attraverso, ma non l’aprì” (De institutione virginis 8, 57).

Caro Alessandro, penso che ne avrai a sufficienza per essere convinto.
Ti ringrazio del quesito, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo

I PARENTI DI GESU'

http://www.tanogabo.it/Religione/Parenti_Gesu.htm


I PARENTI DI GESU'


Luca 2, 6-7

[6]Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. [7]Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.

Matteo 13, 53-58

[53]Terminate queste parabole, Gesù partì di là [54]e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: "Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? [55]Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? [56]E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?". [57]E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua". [58]E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.



Marco 3, 31-35

[31]Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. [32]Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano". [33]Ma egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". [34]Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! [35]Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre".

Marco 6, 3-4

[3]Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui. [4]Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua".



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RIFLESSIONI:



Un passo che ci aiuta tratto da: http://www.santamelania.it/approf/papers/gesu_fratel.htm


Gesù e i suoi "fratelli"
di Gianfranco Ravasi
(da Avvenire, Agora', 24 novembre 2002)

Tutti i giornali hanno dato notizia di un articolo apparso sul numero di ottobre-novembre 2002 della Biblical Archaeology Review in cui un noto studioso francese, André Lemaire, informava sulla scoperta dell'iscrizione aramaica: “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù”, incisa sul lato di un'urna funeraria databile al I sec. d.C. e appartenente a una collezione privata. In attesa di una documentazione più ampia e specifica (la rivista in questione, anche se settoriale, è divulgativa), l'attenzione s'è spostata sull'antica questione dei “fratelli” di Gesù. Ricostruiamo gli antefatti storici della questione, partendo da un paio di passi marciani. Gesù passa dal suo villaggio, Nazaret. E' sabato e va da buon ebreo in sinagoga ove tiene un discorso che impressiona tutti. Scattano subito le reazioni tipiche di un piccolo paese e lo stupore si trasforma in ironia e sospetto: “Da dove gli vengono queste doti? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?” (Mc 6, 2-3). Fin dalle origini cristiane ci si è interrogati proprio sull'identità di questi “fratelli e sorelle” rispetto ai quali Gesù sembra prendere le distanze anche in un'altra occasione. Un giorno, infatti, gli comunicano: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano!” E Gesù: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” Poi, dopo aver girato lo sguardo sugli uditori, continua: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre” (Mc 3, 31-35). Anche lo storico giudaico Giuseppe Flavio (I sec.) nella sua opera Antichità giudaiche (XX, 200) parla di Giacomo, responsabile della Chiesa di Gerusalemme, come di un “fratello di Gesù detto il Cristo”. Una prima e antica identificazione di questi “fratelli” appare in uno scritto apocrifo (cioè non accolto nel Canone delle Sacre Scritture) composto nel II secolo, il cosiddetto Protovangelo di Giacomo. In esso Giuseppe, al momento del matrimonio con Maria, confessa: “Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza!” (9,2). I “fratelli” di Gesù sarebbero per quest'opera “fratellastri”, nati da un precedente matrimonio di Giuseppe. Sempre nel II secolo un autore cristiano di origine palestinese, un certo Egesippo, nelle sue Memorie parla di “parenti” di Gesù che furono processati dai Romani sotto l'imperatore Domiziano, quindi sul finire del I secolo. Questa tesi fu accolta anche dal famoso traduttore latino della Bibbia, san Girolamo, che nei “fratelli” e nelle “sorelle” di Gesù vide in pratica i cugini, cioè gli appartenenti al clan familiare di Maria. Egli sostenne questa tesi nell'opera De perpetua virginitate polemizzando aspramente contro un tale Elvidio, suo contemporaneo (IV secolo), che affermava trattarsi invece di figli avuti da Maria e Giuseppe successivamente rispetto a Gesù, tesi sostenuta anche da alcuni esegeti moderni. Uno degli argomenti addotti era la frase del Vangelo di Luca in cui si dice che Maria “diede alla luce il suo primogenito”, Gesù (2, 7). E', però, da notare che il termine “primogenito” ha di per sé valore giuridico e sottolinea i diritti biblici connessi alla primogenitura. Curiosamente in un documento aramaico del I secolo si parla di una madre (di nome Maria essa pure) che morì dando alla luce “il suo figlio primogenito”.

L'esegesi storico-critica moderna ha fatto notare poi che nell'aramaico o nell'ebraico il termine “fratello” ('aha' e 'ah' ) indica sia il fratello, sia il cugino, sia il nipote, sia l'alleato: nella Genesi Abramo chiama il nipote Lot “fratello” (13, 8), come fa Labano col nipote Giacobbe (29, 15). Inoltre l'espressione “fratelli del Signore” nel Nuovo Testamento (Atti 1, 14; 1Corinzi 9, 5) designa un gruppo ben definito, quello dei cristiani di origine giudaica legati al clan nazaretano di Cristo. Essi costituirono una specie di comunità a sé stante, dotata di una sua autorevolezza al punto tale da poter proporre un proprio candidato come primo “vescovo” di Gerusalemme, Giacomo (Atti 15, 13; 21, 18). Nel brano sopra citato (Marco 3, 31-35) Gesù sembra ridimensionare i loro privilegi e ridurli all'orizzonte più generale e più significativo della fedeltà alla volontà del Signore. Per altro essi non sono mai chiamati, come Gesù “figli di Maria”. A questo punto, però, entra in scena la nostra iscrizione ove si avrebbe “figlio di Giuseppe” e quindi si inviterebbe a considerare Giacomo come fratello carnale di Gesù, magari come figlio avuto da Maria dopo aver generato Gesù. Prescindendo dal discorso teologico sulla verginità di Maria attestata dalla fede cristiana antica, e rimanendo nell'ambito puramente storico-critico, bisogna essere in realtà molto cauti. Lo stesso Lemaire riconosce che “tenendo conto del numero di abitanti di Gerusalemme (ca. 80.000) e dell'onomastica dell'epoca, vi potevano essere almeno una ventina di Giacomo che avevano un padre chiamato Giuseppe e un fratello denominato Gesù”, trattandosi di nomi comunissimi. Supponendo pure che l'espressione “fratello di Gesù” – piuttosto inattesa in un'epigrafe funeraria – sia stata introdotta proprio per rimandare a Cristo, figura nota, non si potrebbe però storicamente escludere né la tesi della paternità solo legale di Giuseppe nei confronti di Gesù, paternità attestata dal Vangelo di Matteo, né la tesi di una precedente prole di Giuseppe, attestata dall'antica tradizione apocrifa.

DONATO CALABRESE:I FRATELLI DI GESU'

DONATO CALABRESE:I FRATELLI DI GESU'

Dai Vangeli traspaiono dati sconcertanti circa il rapporto di Gesù con la famiglia e la cerchia dei parenti. Ciò che fa particolarmente riflettere, scorrendo le pagine dei quattro vangeli canonici, è che a registrare queste “incomprensioni” sono particolarmente Marco e Giovanni; quelli, cioè, che rappresentano il primo e l’ultimo della serie di libri canonici sulla vita di Gesù. Si tratta di testi che sono stati posti per iscritto a distanza di decenni l’uno dall’altro, a dimostrazione che nelle varie comunità cristiane era un conosciuta una certa tensione tra il Gesù prepasquale ed il suo ambiente familiare.

Nel vangelo di Marco, quello più arcaico e quindi più vicino alla figura storica di Gesù, troviamo una prima traccia di questa tensione:

"Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E` fuori di sé»"[1].

Dire “è fuori di sé” e come dire “è pazzo”. La stessa, medesima cosa. Un’espressione decisa, risoluta, quella dei “suoi”, che Marco ha registrato ipso facto nel suo vangelo, forse perché è stato lo stesso Pietro a parlarne in qualche occasione.

I parenti vogliono riportare Gesù a casa, nella sua città. Lo stesso evangelista, che ha posto per iscritto l’episodio, non spiega il motivo di questa incomprensione. Ma, in alcuni versetti successivi a quelli che abbiamo letto, è forse adombrata la spiegazione della tensione tra Gesù ed i suoi:

"Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»"[2].

Anche se qualcuno potrebbe spiegare la risposta di Gesù con la sua propensione a predicare attingendo non solo all’ambiente circostante, ma anche ai dialoghi improvvisati con la gente, specialmente quando gli offrono l’occasione di dare un insegnamento, è lecito pensare che Gesù abbia detto, in questa occasione, “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»” per significare che i suoi non si comportavano da fratello, sorella o madre. La sua risposta rende manifesto un rapporto non proprio idilliaco tra lui ed i suoi parenti, altrimenti anche altre espressioni, come “E’ fuori di senno” non sarebbero passate nella tradizione scritta.

Ci sarebbe, quindi, un certo senso di diffidenza, se non proprio di contrarietà, dei parenti, verso Gesù, a causa dell’impronta particolarissima, originale che egli ha conferito alla sua missione. La spossante attività di girovago, la sua predicazione aperta a tutti, anche ai peccatori, la disponibilità di tempo illimitata, per cui succede che lui ed i discepoli non abbiano neanche il tempo riposarsi e di mangiare[3]. Un atteggiamento che può non essere, certamente, condiviso dai “suoi”.

Attraverso la lettura del Vangelo di Giovanni emerge, però, un altro tipo di lettura, che se conferma, almeno in parte, le notizie di Marco, mostra, però, una diversa interpretazione dello stato d’animo dei familiari e dei parenti di Gesù. Essi sembrano non comprendere la sua "discrezione"; l'apparente contraddizione tra la sua pretesa messianica ed il suo ritirarsi dalle folle che lo vogliono re, per cui lo invitano apertamente a manifestarsi come Messia di Israele.

Un momento privilegiato per affermare la sua Messianicità, l'affermare solennemente di essere l'Inviato di Dio, il liberatore d'Israele, potrebbe essere proprio l'annuale festa delle Capanne, detta pure “dei Tabernacoli”, durante la quale le folle sono facilmente preda di entusiasmi messianici. Invero, questa festa gioiosa ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto, ed in linea con lo stile degli antichi profeti che scelgono queste occasioni per parlare alla coscienza di Israele, anche per Gesù potrebbe essere giunta l’ora di manifestarsi solennemente come Messia di Israele. Questa, per lo meno, potrebbe essere l’idea del suo clan, come appare dal testo che leggiamo:



“Dopo questi fatti Gesù se ne andava per la Galilea ; infatti non voleva più andare per la Giudea , perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne; i suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e và nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo!». Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. Gesù allora disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto, il vostro invece è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere sono cattive. Andate voi a questa festa; io non ci vado, perché il mio tempo non è ancora compiuto»"[4].



Come si può notare, è evidente, una condotta ambigua dei parenti che, se da un lato rivelano un certo comportamento incredulo verso Gesù, dall’altro, questo stesso atteggiamento postula l’invito a manifestarsi apertamente al mondo, come Messia di Israele, e che cozza, invece, con il contegno discreto di Gesù, probabilmente alle prese con la più drammatica delle scelte; la più tremenda delle tentazioni: la prospettiva di scegliere un messianismo politico oppure squisitamente religioso? Una domanda alla quale cercheremo di rispondere nel capitolo dedicato alla crisi in Galilea. Impressiona, però, in questo testo, l’espressione dura dell’evangelista: “Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui”. Cosa può significare questo? Che l’ostracismo verso Gesù sia generato da quei “normali” sentimenti di invidia che provano i parenti poveri rispetto ad uno di loro divenuto famoso e potente? Potrebbe essere. Nell'ambiente di un villaggio, di un paese o anche di una piccola città rurale come Nazaret, l'improvvisa fama, la celebrità, di uno dei suoi abitanti, oltre che i Segni straordinari operati altrove, può provocare, d'acchito, un senso d'invidia e di diffidenza. Proprio ciò che è pronunciato dall’espressione che leggiamo nel Vangelo di Marco:

"Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua»"[5].

Dal racconto evangelico emerge una tensione latente tra Gesù ed i Nazaretani. Una situazione che sfocia addirittura in un tentativo di omicidio, come leggiamo in un analogo episodio riportato dal terzo evangelista:

“…si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò”(Lc 4,29-30).

Nel racconto di Luca appare a tinte forti questo sentimento di rifiuto che pervade i Nazaretani nei confronti di Gesù. Un'opposizione a tratti violenta, come abbiamo visto ora, e che si riverbera, nel contempo, anche nei sentimenti del suo stesso clan. E la fama di Maestro ed operatore di miracoli, che lo accompagna in questo suo ritorno a Nazaret, non fa che acuire la diffidenza dei suoi, alimentata, peraltro, dalla loro normale aspirazione a vivere una vita serena e tranquilla, nell'ambiente quotidiano della famiglia e del clan, senza palesi motivi di discussione con gli altri clan che abitano questo villaggio collinare della Galilea.

E’ forse questo il motivo di fondo della tensione tra Gesù ed il suo parentado? Sarebbe una spiegazione molto verosimile. Si tratta, in fondo, di gente abituata a vivere e lavorare tranquillamente nella quiete delle botteghe o dei campi, e che invece si vede al centro dell'attenzione del villaggio. Gente che teme, nondimeno, un atteggiamento ostile da parte della comunità, se non proprio dell'autorità religiosa di Gerusalemme. Per di più, consapevole del modo con cui Gesù si espone pubblicamente, assumendo anche un atteggiamento polemico verso i partiti potenti come gli scribi ed i farisei, il clan è vivamente preoccupato per sé e, nello stesso tempo, per l'incolumità dell’illustre parente.

Ad un occhio attento, considerate valide anche le altre ipotesi presentate, sembrano proprio questi i motivi di una diffidenza iniziale che coinvolge, in questo discorso, la stessa figura della Madre di Gesù. In tale situazione, diventa difficile per qualche studioso trovare la collocazione di Maria[6]. Ma è bene ricordare che la situazione della donna nella società Palestinese è molto diversa da quella di oggi, dove la donna vive l’età migliore della sua storia. Consapevoli del ruolo marginale della donna nella società Palestinese del primo secolo, vogliamo pensare che Maria si veda costretta, suo malgrado, a subire, nei suoi confronti e verso Gesù, l'influenza severa ed il giudizio, tipicamente maschilista del mondo ebraico, da parte degli uomini del parentado.

Solo col tempo, specialmente dopo l’esperienza della pasqua, la famiglia di Gesù cambierà gradualmente atteggiamento nei suoi confronti. Anzi alcuni parenti, come Giacomo, chiamato il Giusto, assumeranno un ruolo prioritario nella comunità cristiana primitiva.

Ma chi sono i membri di questa famiglia che tutti i cristiani riconducono all’immagine idilliaca di Gesù, Giuseppe e Maria, la santa Famiglia di Nazaret.

Certamente non si limita qui la composizione della famiglia di Gesù, anche perché nella società ebraica è molto forte e preminente la funzione del clan.

Quando Gesù comincia la sua vita pubblica, sicuramente Giuseppe non è più in vita, poiché non viene più menzionato tra gli intimi di Gesù. I Vangeli[7] fanno riferimento alla Madre ed ai fratelli di Gesù(Mt 12,46; 13,55; Mc 3,31).

Dopo aver operato il miracolo di Cana, Gesù “discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni”(Gv 2,12). Anche qui si dice che la madre ed i fratelli seguono Gesù a Cafarnao, ma del padre non si dice nulla.

Anche negli Atti degli apostoli sono nominati la madre di Gesù ed i suoi fratelli, mentre non si accenna al padre:

"Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui"[8].

Chi sono i "fratelli" di Gesù nominati nei vangeli e negli Atti? Sono veramente fratelli di sangue? Oppure il termine fratelli indica anche un rapporto di parentela in senso più ampio, intendendo, in tal modo, il termine fratello come cugino?

Il primo a rispondere a questo interrogativo è un autore postapostolico, Egesippo, vissuto nel II secolo, probabilmente originario della Palestina e conoscitore del greco, dell'ebraico e del siriano. Nei suoi scritti lascia capire che coloro che i Vangeli chiamano "fratelli del Signore" siano in realtà suoi cugini.

Nella seconda metà del II secolo si fa strada, invece, l'opinione che i fratelli di Gesù siano in realtà figli di un precedente matrimonio di Giuseppe, quindi sarebbero fratellastri. Un'ipotesi accettata nelle Chiese orientali, ma non in quella occidentale.

Il tema è ripreso da San Girolamo (IV secolo) il quale, da ottimo conoscitore dell'ambiente e della lingua ebraica, respinge la tesi che si tratti di fratelli o fratellastri di Gesù, giungendo alla conclusione avanzata da Egesippo. Si tratta dei cugini del Maestro, cioè di appartenenti al clan familiare di Maria. Girolamo sostiene questa tesi nell'opera De perpetua virginitate, polemizzando aspramente contro un tale Elvidio, suo contemporaneo (IV secolo), che affermava trattarsi invece di figli avuti da Maria e Giuseppe successivamente rispetto a Gesù, tesi sostenuta anche da alcuni esegeti moderni. Uno degli argomenti addotti era la frase del Vangelo di Luca in cui si dice che Maria «diede alla luce il suo primogenito», Gesù (2,7). È, però, da notare che il termine «primogenito» - come precisa Gianfranco Ravasi - ha di per sé valore giuridico e sottolinea i diritti biblici connessi alla primogenitura. Curiosamente in un documento aramaico del I secolo si parla di una madre (di nome Maria essa pure) che morì dando alla luce «il suo figlio primogenito»[9].

A tal proposito mons. Gianfranco Ravasi ha scritto sull’Avvenire del 24 novembre 2002: “L'esegesi storico-critica moderna ha fatto notare poi che nell'aramaico o nell'ebraico il termine «fratello» ('aha' e 'ah) indica sia il fratello, sia il cugino, sia il nipote, sia l'alleato: nella Genesi Abramo chiama il nipote Lot «fratello» (13,8), come fa Labano col nipote Giacobbe (29,15). Inoltre l'espressione «fratelli del Signore» nel Nuovo Testamento (Atti 1,14; 1Corinzi 9,5) designa un gruppo ben definito, quello dei cristiani di origine giudaica legati al clan nazaretano di Cristo. Essi costituirono una specie di comunità a sé stante, dotata di una sua autorevolezza al punto tale da poter proporre un proprio candidato come primo «vescovo» di Gerusalemme, Giacomo (Atti 15,13; 21,18).

Nel brano sopra citato (Marco 3,31-35) Gesù sembra ridimensionare i loro privilegi e ridurli all'orizzonte più generale e più significativo della fedeltà alla volontà del Signore. Per altro essi non sono mai chiamati, come Gesù, «figli di Maria»”[10].

Questa chiarificazione è ormai accettata in tutta la Chiesa latina, anche se rimane il dubbio legato alla straordinaria concordanza dei testi del Nuovo Testamento su questo termine "fratelli". Occorre dire, però, che nella Bibbia ebraica tradotta in greco, la versione dei Settanta per intenderci, il termine fratello è utilizzato anche quando si fa riferimento a gradi di parentela più larghi, come ha scritto Ravasi. Perciò le parole greche che significano "fratello" e "sorella", traducono termini ebraico-aramaici che oltre a designare i figli degli stessi genitori, designano anche parenti prossimi, specialmente per consanguineità, senza specificare il grado di parentela. Tutto questo a dimostrazione del fatto che sia l'ebraico che l'aramaico non hanno la ricchezza di termini delle nostre lingue[11]. E soprattutto coloro che hanno messo per iscritto i Vangeli avevano davanti agli occhi proprio la versione biblica dei settanta, quella scritta in greco per le comunità della Diaspora ebraica, ed hanno utilizzato per i Vangeli la stessa terminologia dei Settanta.

Da tutto questo si può dedurre che Maria sia l'unica familiare di Gesù al tempo della vita pubblica, mentre Giacomo, Ioses (Giuseppe), Giuda, Simone, indicati come fratelli, sarebbero in realtà suoi cugini, ed essendo molto viva l’idea del clan, si può benissimo comprendere come, in certi momenti, come in quelli citati dai vangeli, Maria venga nominata a quelli che sono i suoi nipoti. E' verosimile, quindi, che Gesù abbia anche degli zii a Nazareth, mentre sotto la croce c'è anche una zia, sorella della madre. Ed è possibile che proprio gli zii abbiano influenzato negativamente, specialmente all’inizio della predicazione, il comportamento di chiusura del clan nei confronti di Gesù.

E' certo che alcuni di questi parenti di Gesù, dopo la sua resurrezione, hanno avuto un ruolo determinante nella comunità cristiana primitiva. Come Giacomo il Giusto, facente parte del gruppo degli apostoli. Diventerà, poi, uno dei capi della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme.

Alla luce delle analogie tra i manoscritti di Qumran e l'epistola attribuita a Giacomo, si delinea una nuova realtà che evidenzia chiaramente l'importanza di Giacomo e la sua notevole influenza non solo sulle comunità giudeo-cristiane di Palestina, ma addirittura sulle comunità religiose ebraiche di Qumran.

A testimoniare l'adesione successiva dei familiari e dei parenti a Gesù, ci sono, a Nazaret, dei reperti storici che dimostrano come le prime generazioni di "parenti di Gesù", accanto alla grotta dell'Annuncio, trasformarono in luogo di culto la grotta detta di Conone, l'ultimo parente del Rabbi di Galilea. Ed è qui, in questa grotta racchiusa ora nella Basilica dell'Annunciazione, che appare graffita la più antica preghiera a Gesù adorato come Dio: "O Gesù Cristo, Figlio di Dio, vieni in aiuto ai tuoi servi".




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[1] Mc 3,20-21.

[2] Mc 3,31-35.

[3] Cfr. Mc 6,31.

[4] Gv 7,1-8.

[5] Mc 6,2-4.

[6] Cfr. Pius-Ramon Tragan, La preistoria dei Vangeli, Ed. Servitium, pag. 112.

[7] Mt 12,46-50; Mc 3,31-35; Lc 8,19-21; Gv 2,12.

[8] At 1,14.

[9] Cfr. Gianfranco Ravasi, Gesù e i suoi "fratelli”, Avvenire, Agora, 24 novembre 2002, pag. 19.

[10] Cfr. Gianfranco Ravasi, Gesù e i suoi "fratelli”, Avvenire, Agora, 24 novembre 2002, pag. 19.

[11] Fratelli del Signore, in Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo biblico, Ed. Massimo, pag. 318.